La società della conoscenza

Per la prima volta nel 2006 gli investimenti globali in ricerca scientifica e sviluppo tecnologico (R&S) hanno superato il valore dei 1.000 miliardi di dollari (a parità di potere d’acquisto): mai il mondo aveva speso così tanto per la scienza e l’innovazione tecnologica.

Per la prima volta nel 2006 la Cina ha superato il Giappone ed è, ormai, il paese che investe di più al mondo in R&S dopo gli Stati Uniti. Per la prima volta l’India ha superato la Gran Bretagna, ed è ormai sesta assoluta al mondo per spesa in R&S: l’ex colonia ha superato l’ex potenza imperiale. Per la prima volta nel 2006, dopo molti secoli, l’Asia è tornata a essere il continente dove si investe di più in ricerca scientifica e tecnologia, dopo che negli ultimi quattrocento anni il primato era stato detenuto prima dall’Europa e poi dal Nord America.

L’asse dell’innovazione si è spostato decisamente dall’Atlantico Settentrionale (sulle sue sponde affacciano paesi responsabili del 55% della spesa mondiale in R&S), all’Indopacifico (sulle sue sponde affacciano paesi responsabili di oltre il 75% della spesa mondiale in R&S).

Certo, tutte queste novità hanno un valore essenzialmente simbolico. Ma sono simboli altamente evocativi. Tanto da dare, netta, la sensazione di una svolta. Addirittura di una svolta epocale. Se è vero che siamo entrati nell’era della conoscenza, i protagonisti di questa nuova fase storica sono diversi dai protagonisti dell’era industriale.

Se la conoscenza è diventata la nuova fonte per la crescita della «ricchezza delle nazioni» allora siamo tutti impegnati a rispondere ad alcune domande:

1) Cos’è esattamente la società della conoscenza? Quale ruolo vi ha la produzione di nuova conoscenza scientifica? È cambiato il rapporto tra l’uomo e la tecnica? E se sì, perché? Tecnologie informatiche, biotecnologie, nanotecnologie: è questo il «triangolo della conoscenza»?

2) Di chi è la conoscenza? La dinamica politica e sociale nell’era industriale si è sviluppata intorno al tema del possesso dei mezzi di produzione? La dinamica politica e sociale nell’era della conoscenza si svilupperà (si sta già sviluppando) intorno al tema del possesso dei mezzi di ideazione?

3) Il «futuro della conoscenza» è aperto? È possibile costruire un futuro sostenibile dal punto di vista sociale ed ecologico o, come sostengono alcuni, ormai possiamo solo chiederci cosa farà la tecnica di noi, non potendo più chiederci cosa possiamo noi fare della tecnica?

4) Mai il mondo è stato così ricco. Mai è stato così disuguale. La conoscenza sarà un fattore di nuova esclusione o di nuova inclusione sociale? In altri termini, come possiamo costruire la «democrazia della conoscenza»?

Pietro Greco

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